venerdì 31 gennaio 2014

LE 500 DI RON ARAD ALLA PINACOTECA AGNELLI DI TORINO




Fino al 30 marzo la Pinacoteca Agnelli ospita l'artista designer e architetto israelaino Ron Arad. La mostra è intitolata "In Reverse" e raccoglie sculture e installazioni tutte dedicate alla Fiat 500, Una vera passione dell'artista.

“Dried Flowers” (2013): sei Fiat 500 schiacciate e appiattite, “Roddy Giacosa (2013)”, una nuova scultura creata posizionando centinaia di barre in acciaio inox lucido su un’armatura metallica con la forma di una Fiat 500, “Slow Outburst (2013)”, la simulazione digitale di Arad del processo di schiacciamento del modello più recente della 500, una scultura ricavata da un fotogramma del film “Drop (2013)” realizzato con una tecnica di stampa in 3D. Poi sedie in acciaio, che fanno parte dei primi lavori negli anni ’80, e un’automobilina della polizia che trovò quarant’anni fa in una strada di Tel Aviv.

Il significato dello schiacciamento è spiegato in un'intervista video all'ingresso della mostra: Arad dice che pressandola, una cosa tridimensionale con la sua utilità perde tutta la sua essenza, trasformandosi in oggetto inutile e bidimensionale.















sabato 25 gennaio 2014

Scarpe: un argomento che le donne faticano a mantenere "stringato"

 Lo so. Non proprio tutte-tutte le donne sono delle collezioniste di scarpe, ma queste sono comunque una netta minoranza.
Quale sia il motivo per cui ne siamo così spaventosamente attratte, rimane un mistero. Io stessa non so spiegarmelo. Resta però il fatto che mi risulta impossibile non fermarmi di fronte ad un negozio di scarpe ogni qual volta ci passo davanti.
E' una specie di dipendenza. Non è che se già si posseggono cinque paia di stivaletti marroni – per dire - poi ci possiamo ritenere soddisfatte. No, non è così. Il periodo durante il quale permane un certo appagamento è molto breve. Un sesto paio di stivaletti marroni è già lì pronto ad attenderci impaziente di finire nelle nostre case.
Avrei bisogno di una casa solo per le scarpe. Non so più dove metterle. Alcune sono vecchissime e per fortuna quelle sono rimaste dai miei genitori e non l'ho più viste. Altre invece sono decisamente meno vecchie ma immettibili perché fatalmente finite fuori moda, e per noi, maniache seriali, è improponibile una punta quadrata di questi tempi.
Le scarpe più amate, secondo i sondaggi “inutili” che si trovano qui e là, sono quelle con il tacco. Slanciano la gamba, rendono più “donne”, sono “eleganti”. Essendo alta più di un metro e ottanta, fra le mie centinaia di scarpe mancano decisamente quelle di questo tipo. Non ne ho mai sentito la necessità, e poi in una coppia come la mia dove già svetto di qualche centimetro, un ulteriore aiuto sarebbe di troppo. Un po' di curiosità ce l'avrei anche, ma non fino al punto di comprarne un paio. Mi limito, per poterne provare l'ebbrezza per qualche misero minuto, a indossare quelle esposte nei negozi. Ma come le infilo, quella sensazione di essere sui trampoli non mi piace per niente. E così opto sempre per il raso-terra o per i massimo 5-6 centimetri, che già mi fanno diventare fin troppo stangona.
Le scarpe possono essere un colpo di fulmine: cade l'occhio su quel sandaletto lì passando di sfuggita davanti ad una vetrina, ed inizia il travaglio interiore. “Non mi servono, ne ho già dieci paia praticamente identiche. Però non proprio identiche, a dire il vero... certo è che con quei soldi mi potrei comprare qualcos'altro di veramente molto più necessario”, argomentiamo con noi stesse. Poi, dopo essere andate a vederle altre dieci volte, entriamo nel negozio, con la speranza che la commessa ci dica che non c'è più il nostro numero, tanto per stare tranquille con la nostra coscienza. Quindi, delle due l'una: il numero è finito e ci stiamo malissimo, o il numero c'è e ci sentiamo felici/in colpa. Colpa che aumenterà ancora di più se, tornando a casa, ci accorgeremo che l'altro negozio un po' più in là vendeva dei sandaletti ancora più desiderabili e magari più economici.
E le scarpe che si sono comprate e non sono mai state indossate? Vuoi per un motivo o per un altro, ce ne sono alcune che rimangono negli armadi così come quando sono uscite dal negozio. Non le abbiamo neanche scartate e tolte dalle veline di protezione. Sono rimaste cristallizzate nel tempo, e se non sono state indossate fino ad oggi, difficilmente vedranno la luce fuori dalla loro bara di cartone nel futuro.







lunedì 20 gennaio 2014

IL NUOVO SPORTING D'HIVER A MONTECARLO


Lo Sporting d'Hiver di Montecarlo sta per essere demolito e al suo posto sarà costruito un nuovo edificio, firmato dagli architetti Rogers Stirk Harbour e Partners, che hanno già firmato il centre Georges-Pompidou a Parigi e il Dôme di Londra. 
Lo Sporting fu costruito nel 1932 in stile Art Decò, e negli anni passati ha ospitato eventi di prestigio, dal Ballo della Rosa ai gran galà di Natale del Principato.
L'edificio, che dovrebbe essere iniziato già nel 2014, sarà costituito da più palazzi che rispondono alle norme di sostenibilità ambientale, con aree destinate ad attività commerciali e boutique di lusso, ad appartamenti e super attici, a uffici e spazi per lo svago e la cultura.










sabato 18 gennaio 2014

Se l'avessi visto da piccola...le paure che dall'infanzia ci portiamo dietro tutta la vita

Da piccola dovevo dormire con la luce accesa. Mi avevano regalato un mappamondo – oggetto ormai scomparso dalla circolazione – con la luce interna. Di notte emanava un chiarore attenuato, soffuso, mi tranquillizzava. Da quando ho memoria, ho sempre passato notti agitatissime. Un sogno dopo l'altro, per la maggior parte terribili. Indipendentemente che durante la giornata o la sera stessa fossi stata traumatizzata da qualche immagine spaventosa, almeno un incubo a notte l'ho sempre sognato. E da qui la necessità di dormire con una fonte di luce.
Durante un lasso di tempo neanche tanto corto durante l'infanzia, avevo il terrore dei pupazzetti di peluche. Non di tutti: gli orsetti mi piacevano. Ma mi avevano regalato un pulcino Calimero di stoppa che, chissà perché, mi terrorizzava. E' rimasto chiuso nella cassapanca per anni, così come una tartaruga con le rotelle e qualche altro balocco simile. Altro giocattolo spaventoso: la trottola. Mentre girava su se stessa emetteva un suono che alle mie orecchie pareva terrificante.
E ancora. I palloncini gonfiabili. Quando erano mezzi sgonfi, con le pieghe, per me erano mostruosi. Ne ricordo ancora uno a forma di coniglio. Aveva un paio di piedi di cartone. Ho ancora davanti a me l'immagine di questo coso, diventato molliccio dalla sera alla mattina, che stava in un angolo della mia stanzetta, senza che avessi il coraggio di prenderlo e buttarlo via. Lo fecero, per fortuna, i miei genitori.
Negli anni sessanta si usava coprire le macchine lucidatrici con rivestimenti a forma di “babaccetto”. Spaventosissimo ! A casa, conoscendo la mia fobia, per fortuna, l'aspirapolvere era nuda, ma una cugina la teneva in bella vista tutta bardata con questa specie di spaventapasseri con una faccia bruttissima. A pensarci mi fa paura ancora adesso.
Fuori casa c'erano svariati motivi per essere terrorizzata. Le persone con braccia o gambe ingessate, per esempio. Oppure i mendicanti che chiedevano l'elemosina per la strada che soffrivano sempre di handicap o malattie ai miei occhi terribili. Ma il peggio era rappresentato dai trampolieri. Non che ce ne fossero molti che andassero in giro, per fortuna. In occasione di feste, carnevali o altre manifestazioni, se svoltando un angolo vedevo emergere in lontananza un busto di un uomo, solitamente con un cappello a tuba in testa, per me era finita. Non riuscivo a vincere la mia irrazionale paura, dovevo tornare indietro.
Anche i clown, le persone con le maschere, che oggettivamente qualcosa d'inquietante posseggono di per se stessi, li trovavo spaventosi. Il carnevale non l'ho mai trovato così divertente. L'aggettivo più giusto è forse inquietante. Non si sa mai cosa si nasconde dietro la maschera.
I bambini di oggi si spaventano pochissimo. Già i giochini che hanno sono spesso costruiti apposta per essere mostruosi, e più mostruosi sono, più piacciono. Vanno al cinema per vedere film che io non avrei visto neanche se mi avessero pagata. Qualcuno che ha bambini forse potrebbe spiegare meglio questo fenomeno per me incomprensibile.

Oggi, da adulta, ciò che mi spaventa, oltre a cose serie come le malattie, disgrazie e affini, è andare in posta, o in banca, o negli uffici pubblici dove sai sempre quando entri ma non sai quando e come ne esci. Se poi, dietro allo sportello, ci fosse pure un trampoliere mascherato, con un palloncino sgonfio vicino e Calimero accanto alla macchinetta del bancomat, credo che potrei morire lì sul posto.

giovedì 16 gennaio 2014

Volkswagen Type 2: fine della corsa



Nessun altro veicolo su strada è stato costruito per così tanto tempo, ma anche per lui è arrivata la fine: nel 2013 è cessata la produzione. 
Sto parlando del camperino Volkswagen Type 2 i cui ultimi esemplari sono usciti dallo stabilimento VW Achieta vicino a San Paolo, in Brasile, dove erano stati prodotti durante i precedenti 34 anni. 

Il T2 aveva fatto il suo debutto al Motor Show di Ginevra del 1949, e messo in vendita l'anno successivo. Arrivato dopo il modello T1, come il suo predecessore ha avuto un enorme successo. 

Lento, elementare eppure affascinante, tanto da diventare il bus più cool per intere generazioni. Lo si è visto nei luoghi di tendenza come a Woodstock nel 1969, o sulle spiagge californiane. 

Lo abbiamo sorpassato sulle autostrade europee, con facilità (media oraria del T2 97km/h), ma con rispetto, e un pizzico di invidia. Mentore della vita slow, del campeggio minimale, della famiglia fricchettona. 

Richiestissimo fra i collezionisti, il minivan ha tutt'oggi un mercato dell'usato enorme, e chi ne possiede uno lo conserva come un gioiellino.

Vagheggiando di comprarne uno vero, prima o poi, mi accontento, nel frattempo, di un modellino.

Alan Arkin nel film del 2006 "Little Miss Sunshine"

lunedì 13 gennaio 2014

FORTE DI BARD

Era dai tempi in cui andavo a sciare in Val d'Aosta che, passando sotto il promontorio tra Verrès e Pont Saint Martin, guardavo affascinata il massiccio comprensorio del Forte di Bard. All'epoca, però, non era visitabile, perché riaperto solo nel 2006.
Probabilmente uno dei suoi primi insediamenti risale intorno all'anno 1000, ma fu solo con i Savoia che diventò un baluardo strategico. 
L'episodio militare più noto è l'assedio del 1800. All'alba del 14 maggio di quell'anno i 40.000 uomini dell'Armée de réserve di Napoleone varcarono le Alpi attraverso il Gran San Bernardo per sorprendere l'esercito austro-piemontese che occupava la pianura padana. La calata proseguì speditamente fino a Bard, dove fu arrestata dalla guarnigione di truppe austriache a presidio della fortezza. 
Il comandante del Forte, il capitano Stockard von Bernkopf, resiste all'assedio. Ma dopo un'intera giornata di bombardamenti, il 1° giugno von Bernkopf firmerà la resa ottenendo l'onore delle armi.
Napoleone fece quindi radere al suolo l'edificio, e fu Carlo Felice, timoroso di una nuova aggressione francese, che affrontò il suo rifacimento del Forte nel 1827, affidando il progetto all'ingegnere militare Francesco Antonio Olivero, ufficiale del Corpo Reale del Genio. I lavori si protrassero dal 1830 al '38 e fu  diviso in tre parti disposte su diversi livelli: l'Opera Ferdinando in basso, l'Opera Vittorio nella zona mediana e l' Opera Carlo Alberto in alto.






















venerdì 10 gennaio 2014

Mostre World Press Photo e Magnum Contact Sheets al Forte di Bard

Si sono concluse, dopo una proroga, le mostre allestite al Forte di Bard le mostre World Press Photo e Magnum Contact Sheets. E' probabile una replica nel 2014, dato il grande successo di pubblico.
Delle due, è la prima quella a più forte impatto emotivo. Risultato del più importante concorso internazionale di fotogiornalismo organizzato dal 1955 dalla World Press Photo Foundation, cui hanno partecipato 5.666 fotografi provenienti da 124 paesi, per un totale di 103.481 immagini selezionate. 
La Foto dell’anno 2012 è quella del fotografo svedese Paul Hansen, scattata per il giornale Dagens Nyheter e mostra il funerale di due bambini palestinesi uccisi durante un attacco missilistico israeliano.
Alcune delle immagini, provenienti soprattutto dai luoghi di guerra, sono quasi insopportabili da sostenere, tanto che un cartello all'ingresso avverte che la visione potrebbe urtare la sensibilità di molti. 
Personalmente non ce l'ho proprio fatta a soffermarmi su alcune, che ritraggono situazioni dove la pietà umana è inesistente, in special modo nei confronti di donne e bambini.













L'altra mostra, la Magnum Contact Sheets, presenta circa 80 provini a contatto insieme all’immagine finale data alle stampe,rappresentativi dell’intero gruppo di fotografi Magnum -Henri Cartier-Bresson, Eve Arnold, René Burri, Philippe Halsman e Elliott Erwitt, sino ai contemporanei Jim Goldberg, Alec Soth, Paolo Pellegrin e Trent Parke. 
In pratica al visitatore viene mostrato il percorso seguito dai fotografi quando l'era del digitale anocra non era neppure immaginabile. Tanti scatti, i provini ed infine l'immagine scelta, che poi risulta sempre quella giusta.
I ritratti esposti di  politici, attori, artisti e musicisti come Che Guevara e Malcolm X, sino a Miles Davies e ai Beatles, sono quelli che abbiamo visto mille volte tanto da esserci famigliari, eppure sono sorprendenti.