venerdì 20 marzo 2015

La felicità è fatta di piccole cose. Acchiappiamole, non lasciamocele sfuggire.

Disegno di Danilo Paparelli


Oggi 20 marzo è la Giornata internazionale della felicità. Ma attenzione: la felicità non è un concetto così scontato. Fra i filosofi antichi Terenzio Varrone ed Aristotele ne contavano ben 289 interpretazioni. Ed al fine di agguantare la felicità, soprattutto nell'era moderna, si è visto il proliferare di corsi, libri, e tante, tante fregature da parte di sedicenti “maestri” o “guru” che loro, sì, sono riusciti ad accaparrarsi se non altro la ricchezza, con i soldi dei poveri infelici che hanno confidato in loro.

Eppure, da più parti, in tempi recenti si afferma al contrario, l'inutilità e l'impossibilità della felicità. Una dimostrazione è facile da trovarsi nella letteratura. Le tragedie, le disgrazie, i crimini, la follia: da qui sono nati grandi capolavori di scrittori immortali, citando un po' alla rifusa, come Dostoevskij, Tolstoj, Flaubert, Shakespeare, Leopardi, Dante Alighieri (il suo Inferno è meraviglioso, il Paradiso, una “pizza”). Per tacer di pittori tormentati, un po' folli, afflitti, depressi, sconsolati: Van Gogh, tanto per citarne uno, o Munch, col suo urlo disperato.

La ricerca della felicità è dunque cosa inutile, se non dannosa? Già Paul Watzlawick nei primi anni Ottanta con il suo famoso pamphlet “Istruzioni per rendersi infelici” affermò che “Nulla è più difficile da sopportare di una serie di giorni felici. È giunta l’ora di farla finita con la favola millenaria secondo cui felicità, beatitudine e serenità sono mete desiderabili della vita. Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità. […] Parliamoci chiaro: cosa e dove saremmo senza la nostra infelicità? Essa ci è, nel vero senso della parola, dolorosamente necessaria.” Secondo lo psicologo e filosofo austriaco naturalizzato statunitense, ci sono diversi modi deliberati per rendersi infelici, dei quali ne cito solo alcuni: rimanendo attaccati al passato e rifiutando la felicità quando la si ottiene, dal momento che “adesso è troppo tardi e non la voglio più”; attribuendo agli altri sentimenti negativi nei nostri confronti, secondo la pratica tipica della paranoia; continuando a scansare i problemi e rendendoli così ancora più enormi nella nostra immaginazione; pensando a cose molto infelici proprio quando siamo sul punto di essere felici.

Stesso concetto espresso dal giornalista (Oliver Burkeman) che su The Guardian recensisce i manuali autoconsolatori e che insegnano il “pensiero positivo” : “L'ottimismo ad oltranza, quando è autoimposto, porta alla frustrazione. Meglio un sano realismo, anche se un po' pessimista”. Impossibile iniettare l'autostima negli altri, non si può scegliere in modo razionale di essere felici.

Perché la felicità è così. Ti piove addosso. Ti capita quando meno te lo aspetti, ed è fatta di brevi momenti, di veloci flash, di folgoranti visioni. Piccoli eppure grandi lampi.

Come la canzone alla radio che improvvisamente, mentre sei fermo in macchina durante una lunga coda, ti riporta a quella volta che avevi vent'anni e ti stavi divertendo tantissimo.

Come quando entri alle poste per pagare una bolletta già rassegnato ad un'ora di fila, e invece non c'è nessuno, prendi il tuo numerino e tocca già a te, e in cinque minuti sei  fuori.

Come quando al mattino apri gli occhi e, dopo giorni e giorni di pioggia, vedi uno spicchio di luce solare che penetra attraverso le persiane.

Come quando il tuo bambino ti chiama per la prima volta mamma. A me non è mai successo, ma immagino che sia bellissimo.

Come quando inaspettatamente vedi da lontano una persona che anni fa ti piaceva tantissimo, e che adesso invece non avresti neppure voglia di salutare.

Come quando si è appena finito di fare una cosa che avevamo rimandato tante volte e siamo così sollevati di non doverci pensare più.

Come entrare nelle grandi librerie, e girare, toccare, leggere qualche pagina di libri, o nei grandi magazzini per perdersi in mezzo ai vestiti, senza che nessuno ti chieda “ha bisogno”.

Come quando la barra del telepass si alza e fino all'ultimo penso che “questa volta non si alza”.

Come quando arriva il venerdì sera e ti dici: ora inizia il weekend, che bello.

Quando in fila alla cassa del supermercato mi fisso sul carrello di quelli davanti e mi immagino quello che possono preparare per pranzo o per cena, e vedo delle cose che sarebbero piaciute anche a me, ma che non ho visto prima sugli scaffali.

Come quando alla sera esci dall'ufficio e c'è ancora luce.

Come quando ti guardi allo specchio ed inaspettatamente ti vedi particolarmente interessante.

Come quell'attimo brevissimo che precede lo sprofondare nel sonno profondo.

La felicità è fatta di piccole cose. Acchiappiamole, non lasciamocele sfuggire.








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